CASTELLABATE - GIULIO SCARPATI " CITTADINO ONORARIO È UNA MEDAGLIA SUL PETTO "
INTERVISTA DI MARCO NICOLETTI
CASTELLABATE - Passa con disinvoltura dalle intense e fedelissime interpretazioni di due carismatici sacerdoti come Don Zeno Saltini e Don Luigi Di Liegro, a testi teatrali di Goethe, Diderot e Dostoevskij. Ha vestito i panni del giudice Livatino (un trionfo che gli ha fatto vincere un David di Donatello nel 1994 come migliore attore. ndr) mentre in televisione ha lasciato il segno nel cuore dei telespettatori con il personaggio di Lele Martini della fortunatissima serie “Un medico in famiglia”. Eclettico,versatile, intenso Giulio Scarpati è uno degli attori più amati nel nostro Paese: “Indubbiamente calarsi nella parte di due uomini di Chiesa così profondi, attivi, militanti come i fondatori della comunità di Nomadelfia e della Caritas diocesana fa cambiare la propria percezione spirituale. Dopo, infatti,un periodo di allontanamento queste due figure mi hanno riavvicinato molto alla fede”confida l’attore. Ma recitare per Scarpati è anche condividere la grande passione con gli allievi della sua scuola ai quali assieme alla moglie, la regista Nora Venturini, da anni dedica il proprio spazio, le suggestioni, la sua esperienza. Un uomo serio, sobrio, profondo, padre di due ragazzi, che nonostante gli impegni artistici ha trovato anche il tempo per scrivere e pubblicare il libro “Ti ricordi la casa rossa?”, una struggente lettera alla madre Flavia malata di Alzheimer: un viaggio emozionante, una poetica rincorsa per far rivivere alla persona che gli diede la luce, i ricordi ma anche per imparare lui stesso a riscoprirsi. “Un atto catartico, difficile ma che mi ha fatto bene” racconta l’artista.
Affascinato da entrambi perché rappresentano lo spirito cristiano all’ennesima potenza.Quello con Don Zeno è stato un bellissimo viaggio alla scoperta di un cristianesimo attivo, militante. Rimasi colpito dalla forza di questo sacerdote. Per preparami meglio al ruolo ascoltavo sul mio iPod le sue omelie, estasiato dalla sua forza comunicativa, dalle sue parabole funzionali per smuovere le coscienze,rivolte sia ai contadini che ai ceti più abbienti. E poi resta l’amicizia,rimasta tutt’oggi, con gli abitanti di San Felice sul Panaro, la sua terra così tristemente colpita dal sisma dell’Emilia di due anni fa. Di Don Liegro, oltre che una maggiore vicinanza geografica (era nativo di Gaeta, i miei parenti materni sono napoletani. ndr) porto la sua inesauribile caparbietà , il suo essere vicino al degrado della capitale, agli immigrati, un punto di riferimento per gli ultimi. Riusciva a guardare Dio ad altezza d’uomo, riconosceva nell’umanità la presenza del Signore: il suo rapporto con l’altro era sempre empatico e concreto. Con la Caritas ha dato, poi, vita ad uno strumento di grande equilibrio sociale e bilanciamento delle ingiustizie in anni assolutamente difficili in cui la Chiesa era forse più vista come struttura gerarchica e meno a servizio della comunità sofferente. Vorrei, infine, ricordare la mia partecipazione ne “La casa bruciata” ( film ispirato alla figura del padre comboniano padovano Ezechiele Ramin, trucidato nel 1985 in Brasile a causa della sua attività in favore degli Indios e dei contadini . ndr),dove interpretai padre Toni Zanin, missionario di frontiera ai margini della foresta amazzonica.
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